Riforma forense: il 28 calendarizzata in Commissione Giustizia.
Riforma forense. Riparte la discussione
– 26 settembre 2011Postato in: COMUNICAZIONI, Senza categoria
Riforma forense: il 28 calendarizzata in Commissione Giustizia.
Speriamo che gli sforzi comuni possano sortire l’effetto desiderato.
alla faccia della liberalizzazione……
L’Europa ci invita a liberalizzare mentre il nostro governo punta a stringere le catene. avanti così.
La peggiore classe dirigente che potessimo mai avere nel peggiore dei nostri incubi
Tra qualche tempo ci uniremo ai pastori sardi e tanti come loro lasciati in mutande.
Non si sta cogliendo questo malessere generale per manifestare nelle piazze a gran voce.
Le vie politiche non servono ci vuole rabbia e grinta per quel pezzo di pane che ci vogliono togliere.
Da noi l’unica cosa che siamo riusciti a liberalizzare è il malaffare! La colpa è solo nostra perché siamo pecore che si fanno bacchettare a piacere…
L’Europa impone con Direttive (ovvero LEGGI) le liberalizzazioni, la libera concorrenza nell’esercizio di qualunque professione, il Governo Italiano invece, al contrario, strozza tutto e “ce li mette dentro” una cassetta di legno inchiodata, anzicchè normare tutte, dico tutte le professioni, che non sono certamente poche (come hanno già fatto altre nazioni europee), anzicché liberalizzare tutte le professioni, le falcia e le distrugge, riducendo sul lastrico migliaia di famiglie, milioni di cittadini, prendendo a pernacchie le summenzionate Direttive Europee.
E’ Giunto il momento di intentare causa contro il Governo Italiano per il non facere, per non aver adempiuto; addirittura è previsto un risarcimento danni per ciò, come argomentato da diverse sentenze nazionali e non su tali argomenti. In fin dei conti, il Governo Italiano, è un convenuto come tutti gli altri. Certamente tale operazione va concertata e ben imbastita, ma il risultato è certo, piuttosto che questo annoso impasse.
Libertà di stabilimento.
Gli Articoli 43-48 del Trattato della Comunità Europea vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.
1) Definizione 2) Art. 48 TCE 3) Libertà di stabilimento primaria
4) Libertà di stabilimento secondaria 5) Criterio della sede legale
6) Criterio dell’incorporazione 7) Collegamenti esterni
Definizione:
Per libertà di stabilimento si intende la possibilità di costituire e gestire un’impresa o intraprendere una qualsiasi attività economica in un paese della Comunita Europea, tramite l’apertura di agenzie, filiali e succursali. È inoltre garantito il diritto a esercitare attività non salariate. La libertà di stabilimento pone il divieto di discriminare un imprenditore in base alla nazionalità e si divide in libertà di stabilimento primaria e secondaria.
Art. 48 TCE:
L’art 48 TCE equipara le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. In questo modo estende la libertà di stabilimento, data dall’art. 43 alle persone fisiche, anche alle persone giuridiche. Le società che volessero usufruire della libertà di stabilimento manterrebbero la personalità giuridica del paese di provenienza. L’articolo 48 indica 3 criteri:
La società dev’essere costituita conformemente alla legislazione di uno stato membro. La conformità dipende dalla modalità di identificazione della società secondo il criterio della sede legale o il criterio dell’incorporazione.
La società deve avere una delle seguenti caratteristiche:
-Sede sociale all’interno della CE
-Amministrazione centrale all’interno della CE
-Centro di attività principale all’interno della CE
-Scopo di lucro
Per verificare se una società sia costituita conformemente alla legislazione di uno stato membro vale il principio del paese di origine, e quindi possono spostare la sede in un altro paese membro della CE solo le società costituite nei paesi che applicano il criterio dell’incorporazione.
Libertà di stabilimento primaria:
La libertà di stabilimento primaria si ha quando un cittadino di uno stato membro si stabilisce in via definitiva in un altro stato per intraprendere un’attività imprenditoriale.
Libertà di stabilimento secondaria:
La libertà di stabilimento secondaria si ha quando un cittadino resta nel proprio paese ed esercità un’attività secondaria in un altro paese della CE (es. apertura di una succursale)
Criterio della sede legale:
Nei paesi che applicano il criterio della sede legale, come l’Italia, la Germania, la Francia o l’Austria, la società viene identificata in base al luogo in cui ha la propria sede amministrativa o la sede principale dell’attività svolta. Queste società non possono beneficiare della libertà di stabilimento primaria, perché se spostassero la loro sede, non sarebbero più validamente costituite per il paese d’origine e quindi mancherebbe uno dei presupposti dati dall’art 48.
Criterio dell’incorporazione:
Nei paesi che applicano il criterio dell’incorporaizione, come la Gran Bretagna, l’Irlanda, l’Italia, i Paesi Bassi e la Danimarca, la società viene identificata in base al luogo in cui è iscritta nel registro delle imprese. Queste società possono, ai sensi dell’art. 48 TCE, spostare la propria sede legale o amministrativa in un altro paese della CE.
E’ auspicabile che la Commissione consideri l’indirizzo Europeo e soprattutto quello Italiano. Speriamo che venga anche recepito l’art. 3 del DL 138/2011, attuale legge n. 148 del 16/09/2011, che indica sia il principio di libera concorrenza e libertà di impresa.
Le grandi sfide non si vincono da soli, vanno affrontate insieme, uniti e organizzati.
Ripartiamo ad inondare le email dei vari membri della commissione, magari anche con pec, e proviamo ad organizzare un sit-in di protesta a Roma.
Bravo Lucio Sacchetto, Postato 27-9-2011 alle 8:51 AM ! :
D.L.138 del 13-8-2011. (nel seguente articolo 3 del DL 138/2011 sono elencati i principi che dovranno sopraintendere alla Riforma delle Professioni,[ n.d.r.])
Titolo II
LIBERALIZZAZIONI, PRIVATIZZAZIONI ED ALTRE MISURE PER FAVORIRE LO SVILUPPO
Art. 3 Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attivita’ economiche
1. In attesa della revisione dell’articolo 41 della Costituzione,
Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attivita’ economica privata sono libere ed e’ permesso tutto cio’ che non e’ espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla liberta’, alla dignita’ umana e
contrasto con l’utilita’ sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute
umana, la conservazione delle specie animali e vegetali,
dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni che comportano effetti sulla finanza pubblica.
2. Il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo
economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese.
3. Sono in ogni caso soppresse, alla scadenza del termine di cui al comma 1, le disposizioni normative statali incompatibili con quanto 15 disposto nel medesimo comma, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attivita’ e dell’autocertificazione con controlli successivi. Nelle more della decorrenza del predetto termine, l’adeguamento al principio di cui al comma 1 puo’ avvenire anche attraverso gli strumenti vigenti di semplificazione normativa.
4. L’adeguamento di Comuni, Province e Regioni all’obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita’ dei predetti enti ai sensi dell’art. 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
5. Fermo restando l’esame di Stato di cui all’art. 33 comma 5 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attivita’ risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralita’ di offerta che garantisca l’effettiva possibilita’ di scelta degli utenti nell’ambito della piu’ ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:
a) l’accesso alla professione e’ libero e il suo esercizio e’
fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, e’ consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalita’ o, in caso di esercizio dell’attivita’ in forma societaria, della sede legale della societa’ professionale;
b) previsione dell’obbligo per il professionista di seguire
percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell’obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale e’ sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che
dovra’ integrare tale previsione;
c) la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione
deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attivita’ formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovra’ essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potra’ essere complessivamente superiore a tre anni e potra’ essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Universita’ e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
d) il compenso spettante al professionista e’ pattuito per
iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale
prendendo come riferimento le tariffe professionali. E’ ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. Il professionista e’ tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessita’ dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente e’ un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale e’ resa nell’interesse dei terzi si
applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro 16 della Giustizia;
e) a tutela del cliente, il professionista e’ tenuto a stipulare
idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio
dell’attivita’ professionale. Il professionista deve rendere noti al
cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della
polizza stipulata per la responsabilita’ professionale e il relativo
massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti;
f) gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione
di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni
amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale e’ incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
g) la pubblicita’ informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto
l’attivita’ professionale, le specializzazioni ed i titoli
professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi
delle prestazioni, e’ libera. Le informazioni devono essere
trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche,
ingannevoli, denigratorie.
6. Fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l’accesso alle attivita’ economiche e il loro esercizio si basano sul principio di liberta’ di impresa.
7. Le disposizioni vigenti che regolano l’accesso e l’esercizio
delle attivita’ economiche devono garantire il principio di liberta’
di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all’introduzione di restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attivita’ economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva.
8. Le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle
attivita’ economiche previste dall’ordinamento vigente sono abrogate quattro mesi dopo l’entrata in vigore del presente decreto.
9. Il termine “restrizione”, ai sensi del comma 8, comprende:
a) la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del
numero di persone che sono titolate ad esercitare una attivita’ economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l’esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno;
b) l’attribuzione di licenze o autorizzazioni all’esercizio di
una attivita’ economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l’autorita’ amministrativa; si considera che questo avvenga quando l’offerta di servizi da parte di persone che hanno gia’ licenze o autorizzazioni per l’esercizio di una attivita’ economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la societa’ con riferimento all’intero territorio nazionale o ad una certa area geografica;
c) il divieto di esercizio di una attivita’ economica al di fuori
di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo
all’interno di una determinata area;
d) l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle
sedi deputate all’esercizio della professione o di una attivita’
economica;
e) il divieto di esercizio di una attivita’ economica in piu’
sedi oppure in una o piu’ aree geografiche;
f) la limitazione dell’esercizio di una attivita’ economica ad
alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di
commercializzazione di taluni prodotti;
g) la limitazione dell’esercizio di una attivita’ economica
attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta
all’operatore; 17
h) l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura
di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l’applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale;
l) l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari
all’attivita’ svolta.
10. Le restrizioni diverse da quelle elencate nel comma 9
precedente possono essere revocate con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
11. Singole attivita’ economiche possono essere escluse, in tutto o in parte, dall’abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8; in tal caso, la suddetta esclusione, riferita alle limitazioni previste dal comma 9, puo’ essere concessa, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Autorita’ per la concorrenza ed il mercato, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, qualora:
a) la limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico;
b) la restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e,
dal punto di vista del grado di interferenza nella liberta’
economica, ragionevolmente proporzionato all’interesse pubblico cui e’ destinata;
c) la restrizione non introduca una discriminazione diretta o
indiretta basata sulla nazionalita’ o, nel caso di societa’, sulla
sede legale dell’impresa.
12. All’articolo 307, comma 10, del decreto legislativo 15 marzo
2010, n. 66, recante il codice dell’ordinamento militare sostituire
la lettera d) con la seguente:
“d) i proventi monetari derivanti dalle procedure di cui alla
lettera a), sono destinati, previa verifica da parte del Ministero
dell’economia e delle finanze della compatibilita’ finanziaria con
gli equilibri di finanza pubblica, con particolare riferimento al
rispetto del conseguimento, da parte dell’Italia, dell’indebitamento
netto strutturale concordato in sede di programma di stabilita’ e crescita, al Ministero della difesa, mediante riassegnazione in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni agli stati di
previsione dei Ministeri, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per confluire nei fondi di cui all’articolo 619, per le spese di riallocazione di funzioni, ivi incluse quelle relative agli eventuali trasferimenti di personale, e per la razionalizzazione del settore infrastrutturale della difesa, nonche’, fino alla misura del 10 per cento, nel fondo casa di cui all’articolo 1836, previa deduzione di una quota parte corrispondente al valore di libro degli immobili alienati e una quota compresa tra il 5 e il 10 per cento che puo’ essere destinata agli enti territoriali interessati, in relazione alla complessita’ e ai tempi dell’eventuale valorizzazione. Alla ripartizione delle quote si provvede con decreti del Ministro
della difesa, da comunicare, anche con mezzi di evidenza informatica, al Ministero dell’economia e delle finanze; in caso di verifica negativa della compatibilita’ finanziaria con gli equilibri di finanza pubblica, i proventi di cui alla presente lettera sono riassegnati al fondo ammortamento dei titoli di Stato”.
Da http://www.diritto.it 5-10-2010: Corte europea dei diritti dell’uomo: sempre più vincolanti per il giudice nazionale le decisioni di Strasburgo.
Corte_europea_diritti_umani Il giudice nazionale deve tener conto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ai fini della decisione, anche in corso di causa, con effetti immediati e assimilabili al giudicato. di Biancamaria Consales
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 19985 del 30 settembre 2011, ha respinto il ricorso presentato da un uomo che aveva chiesto i danni per essere stato diffamato su un noto quotidiano. La Suprema Corte, partendo dall’imme- diata rilevanza nel nostro ordinamento delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha affermato che anche la giurisprudenza deve essere applicata con effetto immediato. Pertanto, il giudice italiano non può ignorare, nella controversia che è chiamato a decidere, l’interpretazione che delle norme pattizie viene data dalla Corte di Strasburgo, con la conseguenza che, nella realizzazione dell’equo processo ed allo scopo di assicurare la parità effettiva delle armi in senso sostanziale o processuale (art. 111, comma 1, Cost.) il giudice interno, affinché la sua statuizione risulti aderente alle norme della Convenzione, deve tener conto anche dell’elaborazione del diritto vivente quale proveniente proprio dalla Corte di Strasbur- go, che della Convenzione è il più autorevole interprete. In merito, poi, agli effetti, nell’ambito interno, delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la Suprema Corte rileva che le sentenze della Corte di Strasburgo, pur avendo natura dichiarativa, una volta divenute definitive, consentono di attribuire, a chi si è visto violare un diritto protetto dalla Convenzione, una somma a titolo di risarcimento dei danni morali e materiali o una somma come equa soddisfazione. Inol- tre, in quanto definitive, tali sentenze sono precettive alla pari delle norme materiali convenzionali, la cui applicazione non può discostarsi dall’interpretazione che della norma stessa ha dato il giudice europeo.