Martedì 12 aprile 2011. – Presidenza del vice presidente Fulvio FOLLEGOT, indi del presidente Giulia BONGIORNO. – Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati e Giacomo Caliendo.
La seduta comincia alle 14.15.
Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.
C. 3900, approvato dal Senato, C. 420 Contento, C. 1004 Pecorella, C. 1447 Cavallaro, C. 1494 Capano, C. 1545 Barbieri, C. 1837 Mantini, C. 2246 Frassinetti e C. 2419 Cassinelli.
(Seguito dell’esame e rinvio).
La Commissione prosegue l’esame dei provvedimenti, rinviato il 29 marzo 2011.
Fulvio FOLLEGOT, presidente, ricorda che l’onorevole Ferranti ha chiesto con una lettera, sottoscritta successivamente anche da deputati dei gruppi UDC e IDV, di effettuare un accertamento conoscitivo di dati relativamente all’esame dei provvedimenti in materia di riforma dell’ordinamento della professione forense. Tale richiesta è stata sottoposta all’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, al fine di verificarne l’essenzialità per l’istruttoria legislativa. All’esito di tale verifica, il Presidente della Commissione ha ritenuto di poter accogliere la richiesta nei seguenti termini. Al Consiglio nazionale forense saranno richiesti dati relativi a: numero degli avvocati iscritti agli albi, distinti per territorio ed ordini; numero dei procedimenti disciplinari presso i Consigli dell’ordine e presso il CNF; numero dei praticanti in relazione alla distribuzione territoriale.
Alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense saranno richiesti dati relativi a: numero degli iscritti alla Cassa; numero dei pensionati ed ammontare delle pensioni; dati sul trattamento di indennità di maternità.
All’Organismo unitario dell’avvocatura saranno richiesti dati relativi a: dimensione degli studi professionali, forme associative, loro diffusione sul territorio nazionale; esistenza e consistenza di studi professionali esteri operanti in Italia e di studi professionali italiani operanti all’estero; associazionismo forense (numero associazioni, finalità, iscritti).
Al Ministero della giustizia saranno richiesti dati relativi a: gratuito patrocinio (numero e spese); difesa d’ufficio anche in relazione al totale delle difese penali; scuole forensi e scuole Bassanini; master, scuole di specializzazione e corsi relativi alle formazione professionale permanente; numero di iscritti alle Facoltà di giurisprudenza e numero dei laureati ogni anno.
Per i seguenti dati non è stata ravvisata l’essenzialità rispetto all’istruttoria legislativa in atto: reddito medio ai fini Cassa degli avvocati iscritti e per classi di età e per genere; esistenza di previdenze e/o altri sussidi o interventi di tipo previdenziale ed assistenziale; dati ad oggi del contenzioso civile, penale, amministrativo, tributario e contabile pendente numero delle iscrizioni per materia nell’anno 2010; dati relativi alle Facoltà di giurisprudenza in merito al numero di docenti, studenti in corso e fuori corso; elementi di valutazione presso il CSM riguardanti la formazione comune di magistrati e avvocati.
Roberto CASSINELLI (PdL), relatore, ricorda che si era stabilito di fissare un termine per l’acquisizione dei predetti dati.
Fulvio FOLLEGOT, presidente, ritiene che i dati richiesti possano essere forniti entro 15 giorni.
Cinzia CAPANO (PD) sottolinea come i dati relativi al reddito medio ai fini della Cassa degli avvocati iscritti e per classi di età e per genere siano assolutamente essenziali, in particolare, per valutare l’impatto dell’articolo 20 del provvedimento. Si tratta inoltre di dati di facile acquisizione presso la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nonché presso l’Associazione nazionale giovani avvocati, che ha svolto un’apposita indagine in riferimento al reddito percepito per classi di età e per genere. Chiede quindi che sia riconsiderata la richiesta di acquisizione dei predetti dati.
Donatella FERRANTI (PD) ritiene che la richiesta relativa agli «elementi di valutazione presso il CSM riguardanti la formazione comune di magistrati e avvocati» potrebbe essere riformulata in modo più specifico, nel senso di richiedere il numero complessivo e la percentuale dei posti riservati agli avvocati nell’ambito dei corsi di formazione organizzati dal CSM. Chiede quindi che, in questa nuova formulazione, anche la predetta richiesta di dati sia riconsiderata in merito all’essenzialità ai fini dell’istruttoria legislativa.
Fulvio FOLLEGOT, presidente, ritiene che la richiesta dell’onorevole Capano, relativa ai dati sul reddito medio ai fini della Cassa degli avvocati iscritti e per classi di età e per genere, possa essere accolta. È accolta altresì la richiesta, come riformulata dall’onorevole Ferranti, relativa al numero complessivo ed alla percentuale dei posti riservati agli avvocati nell’ambito dei corsi di formazione organizzati dal CSM.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell’esame ad altra seduta.
Cassazione Civile 2° Sez. Sent. 15530 del 11-6-2008: Avvocati, professionisti, consulenza legale, stragiudiziale, attività riservata. Fonte: http://www.studiolegalelaw.it/new.asp?id=5240:
“Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l’assistenza in giudizio, cfr.Cass. 12840/2006), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione”
Corte di giustizia – Sentenza C-94/2004 CIPOLLA Federico / PORTOLESE Rosaria in FAZARI (causa C-94/04); Sentenza in GU C 331, del 30-12-2006, pag. 2 : Avvocati, tariffe, libertà dei servizi legali stragiudiziali, aboliti i minimi. Fonte:curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=IT&Submit=Rechercher$docrequire=alldocs& numaff=C-94/04&datefs=&datefe=&nomusuel=&domaine=&mots=&resmax=100
“Le prime tre questioni sollevate nell’ambito della causa C 94/04 (CIPOLLA Federico contro PORTOLESE Rosaria in FAZARI) e la questione sollevata nell’ambito della causa C 202/04 (MACRINO Stefano+CAPODARTE Claudia / MELONI Roberto, causa C-202/2004) devono dunque essere risolte, dichiarando che gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il CNF, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa.”
Direttamente dall’autore, un’incredibile prova di onestà intellettuale, il testo della famosa ricerca della Commmissione avv. Daniele de Strobel (direttivo ANIA), editata con la emanazione della “Circolare ANIA n°20/1990 del 25-1-1990″:
ANIA Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici
RAPPRESENTANZA: 00116 ROMA VIA DELLA FREZZA 70, TELEFONO: 06-Ì2.27.I4I-2-Ì-4
TELEGRAFO: ASSICURO ROMA TELEX: 61 36.21 ANIASS TELEFAX: (06)2.21.US
SEDE: 10122 MILANO TELEGRAFO: ASSICURO MILANO PIAZZA S. BASILA.
I TELEX: SÌ.Ì2.IS ANIASS TELEFONO: (02) 7764.1 TELEFAX:(02)7t.09.70
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Commissione Legale, Circ. n. 20/1990 Leg. 2, Roma, 25 gennaio 1990
ALLE IMPRESE ASSOCIATE
AI COMPONENTI LA COMMISSIONE LEGALE
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pag. 1: ASS. DANNI – Ricorso da parte dei danneggiati a consulenti tecnici e operatori di agenzie di infortunistica per la definizione stragiudiziale dei sinistri – Ammissibilità – Poteri e diritti di detti soggetti nei confronti dell’assicuratore – Condizioni e presupposti.
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Per opportuna conoscenza, si trasmette in allegato copia del parere reso dalla Commissione legale sul quesito in oggetto, esaminato nella riunione del 6 dicembre 1989. Distinti saluti.
IL SEGRETARIO F. Nanni IL PRESIDENTE E. Dusi
allegato
COMMISSIONE LEGALE
ASS. DANNI Ricorso da parte dei danneggiati a consulenti tecnici
e operatori di agenzie di infortunistica per la definizione stragiudiziale dei sinistri–Ammissibilità-Poteri e diritti di detti soggetti nei confronti dell’assicuratore-Condizioni e presupposti.
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Relatore dott. de Strobel riunione 6 dicembre 1989
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E’ stato chiesto di precisare quale debba essere, da un punto di vista strettamente giuridico, l’atteggiamento degli assicuratori nei confronti dei consulenti di parte e degli operatori di agenzie di infortunistica che molto spesso si presentano presso gli uffici delle imprese per la liquidazione stragiudiziale dei sinistri su incarico dei danneggiati.
Il problema viene sollevato sia al fine di individuare in astratto le fattispecie in cui l’intervento dei soggetti di cui sopra deve ritenersi ammissibile per obiettive ragioni di competenza (distinguendo, in particolare, i casi in cui dovrebbe riconoscersi, viceversa, una esclusiva competenza dei legali), sia allo scopo di precisare i poteri e l’eventuale diritto all’onorario di questi stessi soggetti nei confronti dell’assicuratore, nonché i relativi presupposti e condizioni.
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I)
Per affrontare correttamente la varia problematica sottoposta ad esame, appare opportuno definire in via preliminare la natura e la posizione che vengono ad assumere, nel generale sistema risarcitorio da fatto illecito, le spese che il danneggiato
si trova sovente ad affrontare per procurarsi quella consulenza ed assistenza necessarie per realizzare la propria pretesa creditoria.
In proposito la Commissione -fermo quanto sarà detto più in dettaglio al successivo punto IV)- rileva subito che queste spese costituiscono, in via di principio, una delle componenti del danno emergente conseguenziale al fatto che ha determinato la responsabilità secondo i vari criteri a tal fine contemplati dall’ordinamento (dolo, colpa o connessione oggettiva).
pag. 2: L’eventuale diritto del consulente o del patrocinatore ad essere retribuito per l’attività svolta non si pone quindi, se
non in casi affatto particolari di cui si dirà meglio tra breve, direttamente nei confronti dell’autore del danno e del rispettivo assicuratore della responsabilità civile, ma sussiste solo nei ri-
guardi del proprio assistito. A quest’ultimo spetterà poi, a sua volta, il rimborso di dette spese, al pari di qualsiasi altro danno emergente subito in conseguenza del fatto illecito (quali, a puro titolo di esempio, le spese farmaceutiche ed ospedaliere, gli onorari dei medici, le spese di ripristino, le spettanze dei tecnici intervenuti per i danni subiti dalle cose, ecc.).
La natura delle spese in questione è altresì confermata dall’opinione assolutamente pacifica che esse rientrano, dal punto di vista assicurativo, nell’ambito del massimale garantito dalla polizza, a differenza di quanto è a dirsi, ad esempio, per le spese di resistenza, che sono attribuite, come è noto, alla provvista supplementare del quarto del massimale medesimo.
Solo in casi affatto particolari, come avvertito, e in considerazione del modo in cui si sono concretamente svolte le trattative per addivenire alla liquidazione del danno può, talvolta, configurarsi un obbligo diretto dell’assicuratore a corrispondere alcunché a detto titolo.
Ciò può accadere a seguito di volontaria assunzione di tale incombenza da parte dell’assicuratore, con emissione allora di quietanza separata, proprio come l’assicuratore stesso può, in ipotesi, farsi carico direttamente di altri pagamenti, quali, ad esempio, quelli relativi alle spettanze di meccanici e carrozzieri prassi per la quale, in passato, era stato addirittura stipulato un accordo con i concessionari di una nota casa automobilistica nazionale, al quale aveva aderito una cospicua parte del mercato assicurativo).
Ciò può avvenire, inoltre, in caso di soccombenza dell’assicuratore a seguito di azione diretta promossa nei suoi confronti dal danneggiato o di chiamata in garanzia da parte dell’assicurato e sempreché il patrocinatore sia stato dichiarato distrattario: il che, peraltro, presuppone che la vertenza sia stata trasferita in sede giudiziale, anche se non muta la natura sostanziale del debito di cui trattasi, che resta quella sopra chiarita di mera componente interna del più generale debito di responsabilità.
II)
Ciò premesso, si -tratta ora di verificare se l’attività dei menzionati consulenti e procuratori, ove espletata solo in sede stragiudiziale al fine di pervenire a un bonario componimento della controversia, possa essere legittimamente svolta da soggetti non particolarmente qualificati sul piano professionale o se invece, interferendo detta attività nella sfera regolata dalle leggi speciali sulla professione forense, la stessa debba ritenersi consentita solo a chi sia a ciò regolarmente abilitato.
pag. 3: Come è noto, l’esercizio di una professione viene disciplinato dal legislatore solo quando la professione stessa integri gli estremi di un’attività di livello e di importanza tali da tro¬vare opportuna collocazione nel quadro delle categorie giuridiche di “pubblico” e di “amministrazione pubblica” (1).
Ed infatti, l’oggetto specifico della tutela approntata sul terreno penale dall’art. 348 c.p. -che reprime l’esercizio abusivo di una professione – è l’interesse concernente il normale funzionamento della Pubblica Amministrazione in senso lato, in quanto lo Stato si sia appunto riservato in via esclusiva il potere di abilitare i privati all’esercizio di determinate professioni particolarmente rilevanti e delicate, subordinandolo ad opportune cautele (2).
Ciò che appare confermato dal fatto che il reato di cui trattasi è previsto nel Titolo II del codice penale, testualmente rubricato “Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione”, e fa immediatamente seguito a quello di usurpazione di funzioni pubbliche contemplato dall’art. 347 dello stesso codice.
Da quanto sopra discende che la violazione della norma penale ricorre unicamente quando l’operatore, non abilitato compia atti tipici della professione, in quanto solo il compimento abusivo di questi atti può costituire, appunto, un attentato alle prerogative della P.A..
Ciò posto, è chiaro che la disposizione di cui al citato art. 348 c.p. rappresenta una norma penale in bianco (3), in quanto presuppone l’esistenza di norme giuridiche speciali che prescrivano una particolare abilitazione per l’esercizio di talune professioni. Nel caso che qui interessa, le norme in questione sono quelle recate dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, e successive modificazioni, sull’esercizio della professione forense.
Orbene, dal testo di tale ultima legge si evince chiaramente che la materia soggetta a disciplina è quella e solo quella relativa alle funzioni degli avvocati e procuratori legali in sede giudiziale.
In proposito la dottrina ha osservato testualmente che “la pubblica e ufficiale investitura all’esercizio del patrocinio, con la formazione e la tenuta degli albi a ministero degli ordini professionali, rientra come parte integrante nella disciplina del processo”; e ancora che “la funzione è solo nel processo”, per cui “la consulenza e l’assistenza legale, strettamente pregiudiziali o stragiudiziali, esorbitano pienamente da questa inquadratura e devono ammettersi …come attività libere a tutti, suscettibili, dunque, di essere offerte o accettate o prestate senza che possa comunque farsi questione di usurpazioni di uffici o di funzioni” (4).
Alla luce di quanto sopra detto, gli atti tipici della professione forense, come tali inibiti ai soggetti non abilitati ai sensi delle leggi speciali, sono quelli giudiziali – e cioè gli
pag. 4: atti legali propri, che hanno luogo nel processo in senso stretto o che, anche se svolgentisi al di fuori di questo, sono però sottesi a spiegare nel processo stesso un’incidenza immediata e diretta, mentre non possono considerarsi tipici della professione in parola gli atti stragiudiziali, e cioè gli atti legali impropri di consulenza e di assistenza della più diversa natura, ma comunque non attinenti alla sfera processuale (5).
Questi ultimi possono pertanto essere compiuti anche da chi non sia in possesso del titolo di studio richiesto per l’esercizio della professione forense, ovvero, pur avendo conseguito tale titolo, non risulti però iscritto agli appositi albi o registri speciali. Parimenti non sono riservati ad avvocati e procuratori quegli atti che la legge consente alle parti di compiere direttamente, in proprio o a mezzo di un mandatario, quali, ad esempio, querele, trattative per conciliazioni, transazioni ecc. (6).
Naturalmente non è mancato chi si è sforzato di negare il fondamento di questa rigorosa ripartizione, nel tentativo di riservare esclusivamente ai soggetti abilitati all’esercizio della professione forense anche gli atti di natura stragiudiziale o legali impropri.
A tal fine alcuni hanno cercato di utilizzare una certa giurisprudenza della Suprema Corte in tema di liquidazione degli onorari professionali, giurisprudenza secondo la quale -ai fini, appunto, della predetta liquidazione- prestazioni giudiziali sono da considerarsi non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgono al di fuori del processo (7).
Muovendo dalla riferita giurisprudenza si è così sostenuto che anche gli atti stragiudiziali, pur essendo di per sé atipici, possono però rientrare tra i compiti propri della funzione professionale e andrebbero quindi riservati ai soli soggetti abilitati, in nome di una visione dell’attività forense globalmente intesa e immune da artificiose distinzioni al suo interno.
A siffatto genere di argomentazioni è agevole opporre peraltro, ed è stato infatti puntualmente opposto, che la giurisprudenza sulla legge professionale forense 13 giugno 1942, n.794, concernente “Onorari di avvocato e di procuratore per pre¬- stazioni giudiziali in materia civile”, da un lato, si è occupata, appunto, di tale ultima legge, riguardando quindi unicamente il profilo della liquidazione degli onorari professionali, e, dall’altro, ha equiparato atti giudiziali e stragiudiziali, ai fini della predetta liquidazione, solo quando questi ultimi risultino strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio, di guisa che gli stessi possano conoiderarsi preordinati all’attuazione di attività propriamente processuali o a queste complementari.
pag.5: Sempre al fine di dilatare la sfera di applicazione del citato art. 348 c.p., fino a farvi ricomprendere il compimento da parte di soggetti non abilitati alla professione forense di atti meramente stragiudiziali, altri hanno cercato di far ricorso al controverso concetto di “reato eventualmente abituale” (8).
Si è così affermato che il reato di abusivo esercizio di una professione può, si, perfezionarsi anche con una singola azione, ma emerge molto più spesso da una certa continuità delle prestazioni professionali, vale a dire da una situazione inizialmente di equivoco e che progressivamente si fonde e sintetizza in una situazione univoca di illegittimità.
La tesi, alquanto ardita, è stata però respinta dalla giurispudenza (9), sul presupposto che la concezione del ed. reato eventualmente abituale può comportare, nella materia di cui trattasi, la punibilità per un solo reato (anziché per una pluralità di reati o per reato continuato) di una serie di atti di esercizio abusivo della professione, ognuno peraltro bastevole a costituire già di per sé reato, ma non può giammai significare che più atti consentiti possano concretare un illecito penale per il semplice fatto di essere stati ripetuti abitudinariamente.
Da ultimo, neppure sembra alla Commissione che utili spunti per un’estensione del tradizionale e rigoroso concetto di esercizio della professione forense agli atti stragiudiziali possano trarsi dalla legge 9 febbraio 1982, n. 31, concernente “Libera prestazione dei servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunità Europea”, il cui art. 2 menziona l’attività professionale dell’avvocato in sede giudiziale e stragiudiziale.
Ed infatti, dall’esame di detta legge -che, per quanto consta, non ha ancora formato oggetto di approfondimento da parte della dottrina e della giurisprudenza- non sembra assolutamente che si possano ricavare fondati argomenti per modificare la soluzione data al problema che ne occupa: vale a dire che, fermo restando che gli abilitati alla professione forense possono ovviamente porre in essere sia atti legali propri che impropri, riservati esclusivamente ai suddetti abilitati sono però solo gli atti legali propri svolgentisi nel processo.
III)
Le conclusioni cui si è pervenuti in precedenza risultano confermate altresì dalla considerazione che il punto focale e terminale della attività dei consulenti e patrocinatori in discorso è rappresentato dal raggiungimento di un accordo amichevole di tipo transattivo.
Questo è, infatti, lo scopo a cui tendono e sono preordinate tutte le operazioni compiute dai predetti soggetti, talché, se l’obiettivo non viene poi materialmente raggiunto, cessa ogni loro interessamento diretto e la pratica viene ceduta a un legale
pag. 6: regolarmente abilitato a trattare la controversia davanti al giudice.
Non a caso l’esame della legittimità dell’intervento degli operatori del tipo considerato si è incentrata proprio su questo negozio terminale e le considerazioni effettuate su di esso sono risultate determinanti per assolvere questi stessi operatori dall’imputazione di esercizio abusivo della professione forense.
La corrente di pensiero che ha trovato accoglimento anche nella giurisprudenza della Suprema Corte è quella che considera la transazione come un negozio giuridico che si svolge del tutto al di fuori delle norme rigorose del diritto. Le parti, nel raggiungere l’accordo, non vanno a ricercare la corretta soluzione giuridica della controversia fra loro insorta e non concludono dando ragione all’una o all’altra, ma, nell’intento di porre termine a una lite già iniziata o allo scopo di prevenirne una futura, si fanno reciproche concessioni e pongono in tal modo fine a ogni motivo del contendere (art. 1965 c.c.).
Appunto in relazione a questo preciso disegno, il legislatore richiede come unica condizione che gli autori della transazione abbiano la piena capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della contesa (art. 1966 c.c.).
Inoltre, l’art. 1969 c.c. dichiara non annullabile la transazione per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia fra le parti.
Sono quindi valutazioni di natura non tanto giuridica quanto piuttosto essenzialmente pratica quelle che sono alla base del negozio in discorso. Per questo la facoltà di transigere è attribuita dalla legge direttamente alle parti, alle quali nulla vieta poi, attraverso l’istituto del mandato con rappresentanza, di attribuire liberamente tale potere ad altra persona di loro fiducia, non necessariamente compresa, per le ragioni dette, tra gli abilitati all’esercizio della professione forense.
Pretendere che la transazione, nel campo qui considerato, possa essere conclusa avendo come mandatario solo un legale iscritto all’albo o nei registri speciali vorrebbe dire, dunque, assoggettare a limitazioni tanto stringenti quanto giuridicamente immotivate la naturale libertà delle parti. E’ appena il caso di rilevare, inoltre, come siffatte limitazioni, una volta affermate, non potrebbero che riguardare tutti indistintamente gli interessati, e quindi non soltanto il danneggiato, ma lo stesso assicuratore del responsabile.
La rigorosa applicazione del principio di cui sopra vieterebbe, in altre parole, anche agli assicuratori di trattare la liquidazione dei danni attraverso propri dipendenti a ciò ordinariamente preposti nonché attraverso periti liberi professionisti.
La tesi opposta a quella qui sostenuta valorizza ovviamente elementi diversi e insiste soprattutto sulla necessità
pag. 7: che, per addivenire alla transazione, si dovrebbero comunque porre in essere attività che richiedono cognizioni giuridiche, quali l’accertamento delle modalità del fatto e la soluzione delle correlative questioni di diritto.
Si è già visto, peraltro, come un tale modo di argomentare non tenga conto della vera natura del negozio transattivo e della circostanza che le parti, anche quando pongono in essere un ed. negozio di accertamento, rendono in realtà certa la situazione preesistente dispondendone, in conformità col fatto che alle parti stesse compete, a differenza di quanto è a dirsi del giudice, un potere di disposizione e non un potere di accertamento in senso tecnico-giuridico (10).
Senza dire che, anche a voler qualificare come giuridica l’attività espletata in questi casi dal mandatario, si tratterebbe pur sempre, per le ragioni a suo luogo diffusamente esposte, di attività legale impropria e cioè non pertinente alla sfera processuale, con la conseguenza che questa stessa attività non potrebbe comunque essere ritenuta di competenza esclusiva dei soggetti regolarmente abilitati all’esercizio della professione forense.
IV) Si è visto così che la trattazione, anche abituale, di pratiche attinenti alla liquidazione dei danni, ove avvenga in sede stragiudiziale e allo scopo precipuo di pervenire ad un’amichevole composizione della vertenza, non costituisce esercizio abusivo della professione forense ed è, quindi, lecita e con sentita a chiunque, potendo dar vita, al più, a una ed. agenzia di affari, per il cui esercizio è richiesta semplicemente la licenza del questore di cui all’art. 115 del T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
Si può pertanto passare ad affrontare il punto principale della problematica sottoposta ad esame, vale a dire se ai consulenti e patrocinatori di cui trattasi spetti senz’altro un compenso e se il rimborso delle spese sostenute a tale titolo dal danneggiato possa essere fondatamente richiesto all’autore del danno e, quindi, all’assicuratore della responsabilità civile.
Più in particolare, poiché si è già precisato nelle considerazioni preliminari che le spese in questione costituiscono, per loro astratta natura, una mera voce del danno emergente, si tratta ora di accertare quali presupposti debbono in concreto sussistere affinché tale voce di danno sia da considerare a tutti gli effetti risarcibile.
Per quanto riguarda la prima questione, e cioè il diritto al compenso dei consulenti e procuratori, la Commissione si limita a rilevare che i soggetti in parola -operino essi indi¬vidualmente o nell’ambito di uffici organizzati nella più artico-lata struttura di un’agenzia di affari – agiscono comunque nel quadro di un rapporto di lavoro autonomo ovvero, se l’incarico ad
pag. 8: essi conferito ricomprenda, come normalmente avviene, anche il compito di transigere in nome del danneggiato, nel quadro di un rapporto di mandato con rappresentanza (11).
Trattasi, in entrambi i casi, di prestazioni rese in dipendenza di contratti per loro natura onerosi e che comportano, quindi, un diritto al compenso, anche se non si potrà fare utilmente riferimento per la determinazione di esso a tariffe predeterminate, come quelle previste per le professioni la cui abilitazione è riservata dalla legge alla Pubblica Amministrazione.
Ciò posto, è chiaro che per affermare la piena risarcibilità anche di questa voce di danno occorre verificare preliminarmente se la relativa spesa è davvero resa necessaria dal fatto dannoso o se invece essa non possa ritenersi evitabile e sia quindi suscettibile di contestazione alla stregua del principio secondo cui il creditore deve comportarsi con diligenza e non aggravare, senza giustificato motivo, la posizione debitoria dell’obbligato.
In proposito la Commissione è del parere che l’istruzione e la trattazione con le controparti di una pretesa risarcitoria costituisce di solito attività tutt’altro che semplice e richiede comunque -oltre al possesso di indispensabili conoscenze tecnico-giuridiche di base, certo non note alla grande maggioranza dei danneggiati- un certo dispendio di tempo e di energie, che in ogni caso dovrebbe essere compensato direttamente all’interessato, ove detta attività fosse stata, in ipotesi, posta in essere personalmente da quest’ultimo.
Per contro, i consulenti e patrocinatori in discorso o dispongono di per sé di un adeguato bagaglio di cognizioni nella specifica materia o, comunque, sono in grado di reperire agevolmente nei singoli casi di specie i dati e le notizie necessarie alla trattazione della pratica, consultando gli esperti dei diversi settori.
Di questa esperienza ed assistenza, dunque, il danneggiato ha solitamente assoluta necessità per prospettare adeguatamente la domanda di risarcimento al civilmente responsabile e al di lui assicuratore, in quanto da solo non sarebbe di regola in grado di far valere i propri diritti. Né si potrebbe ragionevolmente pretendere, d’altra parte, che il danneggiato stesso debba affidarsi in questi casi esclusivamente alle valutazioni dell’assicuratore della responsabilità civile, il quale, per quanto si comporti in modo ineccepibile, è pur sempre portatore, nella dialettica che naturalmente si instaura fra le parti, di interessi del tutto contrapposti a quelli della vittima dell’illecito.
Ora, se l’assistenza di consulenti e patrocinatori deve essere remunerata e rappresenta -salvo prova contraria a carico dell’assicuratore- un elemento di cui il danneggiato ha bisogno per la realizzazione del proprio diritto, non si vede proprio come
pag. 9: sarebbe possibile evitare di conteggiare nella liquidazione complessiva del danno anche questa specifica voce.
Come detto, questo riconoscimento non è peraltro obbligatorio per l’autore dell’illecito e per l’assicuratore della responsabilità civile fino a quando una sentenza almeno provvissoriamente esecutiva abbia accertato la fondatezza della relativa spesa, con la conseguenza che, specie nella fase stragiudiziale, responsabile e assicuratore restano liberi di opporre motivate contestazioni.
In questo caso, sarà evidentemente la conclusione della lite in sede giudiziale a decidere della sorte definitiva della pretesa del danneggiato di essere risarcito altresì delle spese di assistenza e consulenza di cui trattasi, con tutte le ulteriori conseguenze nella ipotesi di accoglimento di detta pretesa da parte del giudice.
N O T E
1)PANNAIN, Brevi note sull’esercizio abusivo della professione, in Arch. pen. 1964, II, 434; ID., Osservazioni sull’esercizio abusivo della professione forense, in Giust. pen. 1962, I, 362.
2)MANZINI, Trattato di diritto penale, quarta ed. aggiornata da Nuvolone e Pisapia, vol. V, Torino, 1962, 550; Cass. 30 gen¬naio 1957, in Giust. pen. 1957, II, 893.
3)ANTOLISEI, Manuale di diritto penale -Parte speciale, II, Milano, 1972, 751.
4)MUSATTI, Prestazioni giudiziali e stragiudiziali, in Foro it. 1956, I, 475.
5)Cass. civ. 11 maggio 1966 in Mass. Cass. pen. 1966, m. 906. In particolare, Cass. 11 marzo 1964, in Mass. pen. 1964, m. 1863, ha escluso la sussistenza del reato di esercizio abusivo della professione forense proprio con riferimento alle attività svolte da una agenzia di pratiche infortunistiche per addivenire a transazioni sul danno.
6)Cass. 14 marzo 1940, in Annali 1941, 313; Cass. 22 febbraio 1938, in Annali 1939, 171.
7)Cass. civ. 13 aprile 1960, h. 870, in Giur. it. 1961, I, 1, 493, con nota di LEGA.
8)Pret. Bologna 7 luglio 1962.
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9)Trib. Bologna 24 maggio 1963, in Critica pen. 1963, 284, se¬condo il quale “non commette esercizio abusivo della professione forense l’esercente di un’impresa infortunistica, il quale sovraintende a tutte le incombenze necessarie per ottenere il risarcimento del danno, affida a medici la parte medica e a legali la parte giudiziaria, tratta con gli istituti assicuratori e tenta e conclude transazioni, anche nel corso del giudizio eventualmente iniziato, anche assumendo le vesti,il piglio, il tono, l’apparenza del legale nei rapporti esterni con i suoi collaboratori, i suoi assistiti e gli istituti di assicurazione, in quanto tale attività, pur essendo connessa a quella giudiziale, non è riservata alla professione forense”.
9)Così, testualmente, SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 177. Il quale, a riprova ‘dell’assunto, rileva come, in caso di divergenza tra la situazione reale e quella “accertata” dalle parti, vale comunque il regolamento dettato col negozio di accertamento.
10)Ciò significa naturalmente che l’assicuratore, prima di concludere una transazione con consulenti e patrocinatori che affermano di agire su incarico del danneggiato, avrà diritto di verificare il potere rappresentativo di detti soggetti, il quale dovrà risultare da apposita procura speciale. E siccome la transazione è negozio che richiede la forma scritta “ad probationem” e la procura è negozio preparatorio che deve rivestire la medesima forma di quello che deve concludere il rappresentante, ne deriva che la procura stessa dovrà, a sua volta, risultare da atto scritto a fini di prova: Cass. 29 aprile 1959, n. 1241, in Foro it., Mass. 1959, 235.
Prof. Dott. Daniele de Strobel